IL SOGNO (2005)


Finirà come è iniziata, pensò per la millesima volta.
E si allentò il farfallino.
Era una delle ultime occasioni per farlo, e si sentiva un po' oppresso. Forse era l'emozione, così cercò lo sguardo rassicurante di Rachel, il suo viso ancora fresco, nonostante i trent'anni di matrimonio che stavano andando a festeggiare, avvolta in quel vestito da sera che le aveva regalato per l'anniversario.
Sei bellissima, Racey, le disse prendendole la mano. Anche quaggiù... Mio Dio, ma come ho fatto ad essere tanto fortunato? Lei sorrise, semplicemente, reclinando un po' la testa. I capelli, biondi, raccolti elegantemente e decorati da una fila di perle che li cingeva come una specie di corona.
Siamo stati entrambi fortunati, sussurrò. Poi fece sì con gli occhi e li socchiuse. Già, pensò lui e corse indietro nel tempo a quella sera in cui i loro sguardi si erano incrociati la prima volta. Era una festa. Una di quelle che si organizzavano in fretta, alla fine dell'estate, come ad esorcizzare il ritorno agli studi, in casa di uno o dell'altro. Bastavano un po' di dischi e qualche bottiglia e i più fortunati usufruivano pure del divano, sempre posto in posizione strategica un po' defilato, lontano dalle luci principali, e generalmente lontano dalle finestre.
Sorrise.
Erano stati proprio fortunati, lui e Rachel. Quella festa, proprio a ridosso dell'inizio delle lezioni era stata organizzata dal suo compagno di stanza nei locali del circolo degli scacchi in cambio di due bottiglie di liquore, ma l'atmosfera, nonostante gli sforzi di tutti, non riusciva a decollare. Aleggiava un vago sentore di malinconia, che nemmeno l'alcool ingerito in dosi generose riusciva ad allentare. Solo Rachel sembrava esserne immune. Irradiava attorno a sè una specie di luce, nonostante indossasse un vestito di semplice cotone verde molto accollato, certo poco vistoso. La seguì con lo sguardo per tutta la sala, incapace di fermarla e parlarle e così pure di distoglierle lo sguardo di dosso. Si sentiva stregato. Stregato e mortalmente triste perchè la serata stava finendo e lei sarebbe andata via, senza nemmeno essersi presentati.
Ma fu lei a chiedergli di ballare e lui subito pensò di essere stato preso in giro.
Cos'è, il nuovo gioco di fine estate? Le chiese, un po' seccamente, e lei, squadrandolo da capo a piedi gli rispose semplicemente che no, voleva solo ballare un po'. Che storia è questa del gioco dell'estate? Rise. Una risata fresca, contagiosa, che ricorderà per tutta la vita. Oh, Rachel.
Scoprirono di essere entrambi appassionati di oceanografia, biologia marina, di avere fatto, fino a quel momento, gli stessi studi, seppure in facoltà diverse e di condividere lo stesso pazzo sogno. Così smisero presto di ballare, appropriandosi del divano per parlare e sollevando fatalmente il malumore degli amici, che su quel divano avevano ben altri progetti. Ma cosa importava? Domandare e ascoltare le risposte, assaporandole, ribattendo diversi punti di vista era la cosa più bella del mondo, sì, ma dopo Rachel.
Si laurearono lo stesso giorno, perchè avevano voluto continuare gli studi separati per poi passare il resto della vita insieme, una bella vita, serena, fino a quel maledetto incidente.
Oh Racey... Non ero ubriaco, te lo giuro. Ma che importa adesso?
Già, cosa importa?
Una festa, come altre. Come quella che li aveva fatti incontrare, ma tanti anni dopo. Un temporale, uno di quelli che spaventa anche se sei sotto alle coperte e la stanchezza, ecco... A volte metti insieme tanti ingredienti e non esce nulla. Ma non quella volta, vero Racey?
Le strinse la mano, fredda, e lei aprì gli occhi. Erano occhi che lasciavano il segno, come se fossero sorgenti di luce. Dopo averli guardati a lungo rimanevano impressi nella retina, come fiammiferi nella notte.
No, non quella volta.
L'auto che perde una prima volta il controllo, poi lo riprende, taglia la curva e... Mio Dio, Racey. Sarebbe bastato andare più piano, vero?
Guardò in alto. La struttura gemeva, ogni tanto, ma il comandante, un ragazzo di meno di trent'anni con una folta barba rossastra e il berretto da baseball, sembrava tranquillo. Fischiettava a tratti, come se ogni volta si fosse dimenticato il motivo e lo riprendesse daccapo.
Fra poco ci siamo, mister Taylor, disse con aria professionale, ma col sorriso sulle labbra. Sarà meglio che lei e sua moglie vi spostiate nella camera più a poppa, dove c'è l'attrezzatura. Smittie vi aiuterà ad indossarla.
L'uomo assentì e si volse di nuovo verso Rachel.
Amore, siamo quasi arrivati...
Il sonar sillabava il suo ritmare pacato. Trenta metri, venticinque, venti, quindici, dieci e poi un brusco rallentamento e i metri che scivolano via ad uno ad uno, fino a fermarsi.
Capolinea, mister Taylor. La aspettiamo quì fra quarantacinque minuti. Non uno di più, siamo intesi?
L'uomo chinò il capo e fece sì con la testa, senza parlare. Poi pose lo scafandro sulla testa della moglie e si assicurò che fosse tutto in ordine mentre il secondo del comandante faceva altrettanto col suo.
L'acqua scura irruppe nella camera stagna del batiscafo, straordinariamente limpida davanti alle luci arancio di emergenza. Poi, nell'impianto audio di entrambi gli scafandri, cominciò a farsi strada una melodia, via via più intensa e dolce.
Racey, mi concedi questo ballo? Disse l'uomo prendendo per mano la moglie e conducendola verso la massa scura che giganteggiava sotto i loro piedi.
Lei fece sì con gli occhi, come solo lei sapeva fare e decine di fotoelettriche si accesero nello stesso istante, illuminando a giorno la sala dello scalone del Titanic, 3787 metri sotto il turbolento livello del mare. Sulle loro teste, l'unico lampadario di cristallo superstite splendeva nonostante fossero passati quasi cento anni da quando si era spento l'ultima volta.
Oh, Donald, sussurrò lei. E' tutto come lo avevamo sognato...
Ssss, fece lui. Le lacrime sono fastidiose lì dentro, vero?
Sì, ma lì poteva ballare. Lì poteva volteggiare. Lì poteva dimenticare di essere bloccata su un lettino senza potersi più muovere dal giorno di quel maledetto incidente.
Oh, Donald...E' il nostro sogno... E vorrei che non finisse mai...
No, non finirà... Sussurrò lui sorridendo. Poi chiuse il contatto con il batiscafo.

FINE

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